Veglia

"Raccontami di tuo fratello Mario."

"Non si chiamava Mario, noi lo chiamavamo Tiresia!"

"Tiresia. Va bene. Raccontami di tuo fratello Tiresia."

"Se proprio vuoi.

Andava e veniva come un'ombra, ma che ci fosse o no tanto non faceva differenza per nessuno perché non aiutava né nei campi né in casa e non diceva mai niente. Non parlava mai. Per questo nostro padre lo volle mettere con le donne, per punizione. Però, aveva fatto i conti senza la sorella maggiore. Eppure lo sapeva che nel gineceo gli uomini non comandano. Ma forse non gli interessava che cosa sarebbe successo.

Quando Tiresia si è presentato alla porta non l'abbiamo neanche fatto entrare. E lui allora ha cominciato a andare e venire. Girava per l'isola e tornava ogni qualche settimana o qualche mese, a seconda della stagione.

Che ci fosse o no, per me non cambiava niente. Però mi mancava.

Non riuscivo a imparare a contare, oltre dieci mi confondevo, ero scema. Ma avevo il sesto senso, mi appostavo sempre al momento giusto per vederlo comparire in fondo alla strada.

Avrei tanto voluto andare in giro con lui. Nessun altro lasciava mai casa. Portami via con te, gli dicevo, ma lui niente, neanche dopo la morte di nostro padre. E non ha voluto restare.

Se fosse restato le cose da noi sarebbero cambiate, perché lui era diverso. Ma non ha voluto. Sarebbe stato il capofamiglia, ma non voleva.

Io però ho il dono dell'invisibilità. Quando è partito la mattina presto e ho visto che mamma lo seguiva di nascosto, ho preso la bambola e le sono andata dietro. Tanto da sola a casa cosa avrei fatto? Le sorelle erano tutte sposate tranne due che erano ancora più piccole e più sceme di me.

Mio fratello andava troppo veloce, aveva le gambe lunghe lunghe, ma per questo era anche alto e non l'ho perso di vista finché non si è seduto sotto un albero per riposare. Mia madre invece, che era piccola e svelta, già dopo qualche passo non sapevo più dove fosse, e questo un po' mi preoccupava ma pazienza, andavo anch'io come un'ombra e contavo di vederla prima che mi scoprisse, come sempre.

Avevo paura che Tiresia si rimettesse in marcia, mi affrettavo il più possibile. Però a forza di sudare e di tirare fiato in silenzio, senza ansimare, a un certo punto mi sono venute le vertigini e non ho visto né sentito più niente.

Quando sono rinvenuta ero sola. Il sole stava per tramontare.

Brava scema, ha detto la mia bambola. Quella non mi aiutava mai, ma quanto a rimproveri era peggio di mamma e di mio padre messi insieme. Brava scema, ha ripetuto. E io: Zitta, fammi sentire.

Ma non c'era nessuno intorno, niente e nessuno. Ero proprio sola e non sapevo dove.

Da noi dopo il tramonto fa subito buio pesto se non c'è la luna. Mi sono ficcata la bambola nella cintura, sono salita su un albero e mi sono stretta al tronco. La notte da noi non fa freddo, e pazienza la fame, ma ci sono i cani randagi, li senti ringhiare e ululare fuori delle mura, farebbero paura anche a te, bestiacce.

Ho sciolto la cintura e l'ho passata intorno al tronco, ma il nodo non mi veniva, ero tanto stanca, avevo paura di addormentarmi e di cadere. La bambola è caduta e gridava da sotto non mi lasciare qui, non mi lasciare. Se non avessi avuto paura che attirasse le bestie non sarei andata a prenderla, lei non se la mangia nessuno, è solo un'isterica piagnucolona, e infatti quando l'ho incastrata fra me e il tronco perché non ricascasse si lamentava invece di ringraziare.

Io invece avrei avuto bisogno di aiuto perché i nodi mi riescono una volta sí e tre volte no, e quando sono stanca meno che meno.

Ma ce l'ho fatta. Però, la mia cintura è una cordicella, se fossi davvero cascata, avrebbe retto? Non ci regge, piagnucolava la bambola, non ci regge. E tu aiutami a stare sveglia, le ho sussurrato inviperita, brutta scema disutile, a te non ti mangiano i cani. Ma mi lacerano per giocare, mi ha risposto, e adesso non piagnucolava più, parlava calma, lenta e seria come mia sorella quando mi spiega le cose. E cosa posso fare? Le ho chiesto. Siamo sole. Ci potremmo trasformare in bestie anche noi, mi ha risposto. Lo sai che tua madre lo sa fare, e lo sai fare anche tu, basta che tu voglia.

In bestie, ho pensato. Io forse lo so fare, ma tu? Se ti trasformi tu, ha detto, mi trasformo anch'io, vedrai. Sono tua.

Va bene. Ma poi? Le ho chiesto. Possiamo ritrasformarci domani? Io non voglio restare una bestia per sempre.

Certo, certo, si è affrettata troppo a rispondere. Non ci credo, le ho detto. Dimmi la verità o ti butto giù e ti lascio prendere dai randagi prima di trasformarmi.

Ha sospirato non lo so, tesoro. Mi dispiace, ma non te lo so dire.

La mamma si ritrasforma, no?

In bestia la mamma non si è mai trasformata prima di oggi. Non lo so se si ritrasforma, non lo so.

E allora non voglio, ho detto. Non voglio diventare una bestia.

Ma se cadi? Senti i randagi come ululano? Hanno fame.

Non dormo. Mi reggo al tronco, la notte non è lunga.

Sì che è lunga la notte. Ti addormenterai e cadrai dal ramo.

E tu tienimi sveglia.

Anch'io sono stanca, anch'io mi addormenterò.

No. Cantiamo. Batti batti batti batti, ho cominciato a cantare, batti le spighe batti batti. E ho continuato a cantare senza più stare a sentire la bambola.

Ma col passare del tempo la voce mi si è arrochita e avevo una sete terribile.

Trasformati, ha detto la bambola. È la cosa migliore, lo vedi anche tu.

Fii fii fii fii, ho cominciato a fischiare piano piano e a battere il ritmo in silenzio contro il tronco. Ma ero stanca, stanca, stanca.

Trasformati, diceva la luna. Trasformati finché sei in tempo, sussurrava il vento, e i randagi ululavano e ringhiavano sempre più vicini.

Una zampa con gli artigli, ho pensato, e subito mi è venuta. Basterà per tenerli a bada, ho detto. Non basterà, amore, ha detto la bambola. Non basterà, ha ripetuto la luna, ascoltaci. Due zampe, ho pensato, e una coda lunga da avvolgere al tronco. La coda si scioglie se dormi, ha sussurrato il vento, non basterà. Due ali, ho pensato, due ali da pipistrello ma grandi e forti. Meglio, ha approvato la bambola, ma non basta ancora. E allora un becco lungo e appuntito, ho pensato mentre aprivo le ali e le battevo lentamente, e squame dure, e una corazza di corno sul petto e sulla schiena. Adesso basta, ha detto la luna, brava. Brava, brava, ha ripetuto la bambola. Ho dato un respiro profondo e la corda che mi legava all'albero è saltata, ma era inutile ormai. Adesso non ho più bisogno di voi, ho pensato, e la bambola ha capito subito. I randagi mi faranno a brandelli, ha gridato, non riesco a trasformarmi, ho sbagliato! Le bestie non hanno bisogno di bambole, ho detto tranquilla perché non avevo più paura di niente e di nessuno, avresti dovuto pensarci prima. Ho battuto le ali più forte e mi sono staccata dall'albero mentre la bambola precipitava nel buio.

E adesso sono qui."

"Hai molta fantasia. Ma ancora non mi hai raccontato niente di tuo fratello."

"Le bestie non raccontano di fratelli né di sorelle, e non hanno fantasia, hanno solo gli artigli per lacerare la preda e il becco per cavarle gli occhi. Non lo vedi? Non vedi che ti tengo, che ti sono accovacciata sul petto, che ti schiaccio a terra e che le tue urla non mi interessano?

Non ho niente da raccontare, io, batto le ali e quando avró finito di farti a brani volerò fuori dalla tua finestra. Che sia aperta o chiusa, cosa vuoi che mi faccia?

Povero omiciattolo. Le ossa spolpate dei randagi le ho lasciate nel bosco quella notte, e delle carni ho fatto festa. Le mie uova mi aspettano al caldo nelle ceneri di quella che fu la casa di mio padre.

Così è il mondo, un luogo crudele. Tu non hai voluto vedere che i mostri delle favole sono tutti veri. Volevi credere che io avessi fantasia. Ma non ne ho, io, io vedo e dico solo le cose come sono. E tu sei stato come mio fratello, muto, cieco, sordo e inutile, e come la mia bambola, egoista. Ma alla verità non si scappa, te lo dicono i rivoli del tuo sangue che colano giù per le pareti di questa stanza e te lo ribadiscono le tue ossa seminate sul pavimento.

Io ormai non cambierò più, è tardi, cuor mio, il tempo che hanno sminuzzato le ruote dentate dell'orologio è tutto sepolto sotto una spessa coltre di polvere.

E tu, alla porta, chi sei? Cosa vuoi e perché gridi? Ti faccio paura? È giusto. Scappa, scappa in fretta, non ti inseguirò, non ne ho voglia. Torno al nido, le uova si stanno raffreddando, e passando soffio sulle case che ho dato alle fiamme venendo qui. Che brucino bene. Domani i miei piccoli sgusceranno e partiremo alla ricerca di Tiresia. Forse lui sa come possiamo ridiventare umani, e se non lo sa, pazienza, squarteremo anche lui e canteremo la canzone del deserto, delle montagne calve e dei laghi senza fondo.

Il mondo è grande ma nessuno è condannato alla solitudine se non vuole e per ognuno di noi c'è terra, mare e turbine di vento. Possiamo sprofondare insieme nella sabbia o perderci soli, come meglio ci pare, siamo liberi di cantare e di uccidere, siamo qui.

Batti le ali, batti, batti, batti le ali e seguimi, insieme troveremo la strada di casa e cambieremo la faccia della terra, o voleremo via in silenzio, nel buio. Sotto in nostri passi le strade si trasformeranno in fiumi e le case cadranno ridotte in macerie, scuoti la polvere dai sandali, non c'è niente che ti trattenga qui, nessuno che ti reclami come figlio, padre e marito, siamo compagni di avventura. Solo una cosa ci distingue: io so la strada."